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autori

Romolo Riccardo Lecis

opere

La razza. Frammento di recentissima storia

Romolo Riccardo Lecis

Roma, Maglione e Strini, 1923

La razza. Frammento di recentissima storia

Romolo Riccardo Lecis

p. 271
Veramente – per usare della parola del grande Poeta – veramente il cuore d’ogni buon italiano "è fatto opimo" ed è ricolmo di fede.

italia ed europa, riferimenti letterari

p. 271
Per costoro, d’altro canto, il nome d’Italia, come anche il nome dei più vigorosi geniali e intrepidi artefici di sua presente grandezza – e questi artefici si chiamano per esempio Armando Diaz, Gabriele d’Annunzio, Enrico Caviglia, Benito Mussolini, insonne combattente con fervore che fu febbre spasimo e riscossa, Salandra tribuno capitolino, Emanuele Filiberto di Savoia, Thaon de Revel l’irrudicibile – per i trafficanti e i barattieri, dunque, questi nomi debbono essere condannati, odiati, oscurati.

italia ed europa, storia

pp. 279-280
Dal tenue tema sull’opportunità dello scioglimento della brigata "Sassari" ch’era ingrata e sudicia notizia ventilata fin dalla cessazione delle ostilità e dalla conclusione dell’armistizio, si trascorse all’accenno delle molte benemerenze non pure di quella brigata che il mondo sapeva stracarica di allori, ma di tale popolo d’artieri, combattenti, lavoratori che la storia e il buon uso latino ribattezzarono due volte nel nome di "Sardo" l’insipienza corrotta "Sardignolo". (279-280)

gente, lingua, storia

pp. 300-311
V’è un popolo nella nostra Italia che non è ancora quanto occorre conosciuto ed apprezzato: un popolo ancora vergine come la sua terra pur dopo secoli e secoli di lotta, di lavoro, di tempeste, di invasioni che non gli han potuto mutare anima o faccia; che conserva per tutto il territorio attraverso tanti secoli le sue antiche tradizioni millenarie patriarcali – severe e originali: un popolo lavoratore per eccellenza, attivissimo, sveglio, sagace, sempre in moto, sempre in azione: un popolo irrequieto, in una parola, che dà ragione alle leggi di natura, sempre quant’è giusto, recalcitrante al comando altrui e indipendente di consiglio, libero come nell’azione così nell’idea: un popolo ricco d’ogni sana virtù a incominciare dalla sobrietà misurata dei saggi per finire in una correttezza integra di costumi che la Grecia non conobbe ai tempi del Giusto: un popolo sempre generoso per il fratello, spesso generoso per il nemico, se pur violento e quasi irruente nella passione dell’amore e in quella dell’odio a simiglianza del popolo primitivo – infine un popolo che ancor oggi come cento, mille anni or sono fa dire di sè: "Mantiene vivo ed alto il culto del fuoco e del focolare" e verso il quale, chiuso il terribile periodo della guerra più sanguinosa e fatale che siasi scatenata sul mondo, resta all’Italia un debito di gratitudine immensa.
Questo popolo è il popolo Sardo. […] E c’è innanzi tutto il carattere psichico della razza da rilevare... […] Fu già detto: "Il carattere psichico di quella tal razza barbara e selvaggia nel gran mondo morale… […] è, dunque, un delitto e un’ignominia che di un popolo simile, raccolto nella gloria solitaria del proprio lavoro, eletto per integrità di opere e di vita incorrotta, severo per il punto d’onore assai più che per la vita stessa – si debba scrivere per concludere in un modo o nell’altro: "La razza è di banditi, o di barbari, o di grassatori o di delinquenti".
Vergognatevi, critici di ciato e di cibrei! V’è chi per i vostri copiosi libri, per le vostre copiose riviste saprà suggerire un degnissimo uso! […]
Epperò dobbiamo anche spiegarci, noi Sardi, le vostre asserzioni calunniose.
Possiamo, sì, anche spiegarcele…
Ecco dunque come stanno le cose… È un punto assai importante su cui far luce, questo! Voi, qui giunti, avete visto che manca l’utile, che manca il necessario e l’indispensabile nei nostri paesi… E ve ne andate… Con gran pro della popolazione.
Quando, dopo quel po’ di penosa villeggiatura, ne siete ripartiti, avete sentito qualche dolore strano: un po’ al petto, a motivo dell’aria ancor essa troppo ruvida, un po’ al capo, un po’ a tutte le ossa; e avete concluso: "Un luogo d’inferno, una vita da selvaggi, fra orrori di natura e orrori di popolo ».
Avevate assistito alla scena di quattro ubbriachi che si pestavano le ossa (nelle città questi son fatti che non si curano) e avete anche detto: "È della gente che incomincia da quel primo grado di degradazione umana ch’è lo stato selvaggio per finire all’ultimo ch’è la delinquenza, il brigantaggio, il delitto".
Era giunta a voi eco, in un remoto paesucolo di Sardegna, di un omicidio consumato per vendetta personale… Ebbene, superato a stento il moto di una sincera apprensione per la vostra salute, avete riafferrato tutto il vostro coraggio quanto siete rientrati nei vostri luoghi, e allora avete scritto: "Sono uscito da un covo di assassini. La Sardegna è tutto un paese abitato da simile triste genia di gente"!
Infine, avevate notato che in tal piccolo borgo la popolazione era onestamente preoccupata della presenza di quattro facinorosi che vi portavano il lutto e l’ira partigiana; e avete così interpretato: "Sono luoghi dove dominano lo squallore, la morte, lo spavento! Lupi e agnelli sgozzati da lupi! E la giustizia è anch’essa trascinata nel gorgo".
Ora io vi avverto: Non sapete forse quel che vi dite.
Se si fa per avere un argomento sul quale tessere di bei romanzi, potete inventare finchè ne trovate, ma allora siete delle teste vuote a mezzo e delle coscienze vuote fino al fondo: di che e perchè dovete sentirlo. […]
E se si tratta di scriver di torve avventure dando ad esse per ambiente la Sardegna come la terra che maggiormente può offrire di opportunità di luoghi e di colori, rischiando di comporre in diverso intreccio ma in istessa sostanza un’altra "Caccia grossa" allora, per non concluder altro, abbiate l’animo di scrivere anche una confessione e dirne: "Ciò che ho detto, ciò che dirò è tutto trama della mia immaginazione ch’è – se non lo sapete – fecondissima e vivacissima al punto da apparire straordinaria e terribile". Basterà. E forse nessuno vorrà suggerirvi la casa di salute. […]
Attentamente egli avrà studiato, forse, lo strano costume dei pastori e dei popolani. Ma quel costume di pastore, di popolano a lui, che, galante raffinato, sarà piovuto probabilmente dal cielo delle costellazioni aristocratiche, avrà dato a vedere – racchiusovi dentro – o un orsacchiotto o un bandito o un selvaggio o una qualche larva di delinquenza disgregatasi dalle ombre per tornare nella notte…
Verità dolorose!
È uno straniero siffatto che ha l’audacia sfrontata di lanciare un giudizio e condannare! […]
Confortatevene, e dunque sappiate che noi isolani sentiamo di portare un’impronta distinta nel sangue, un’impronta sana, indistruttibile, vigorosa di forza vergine, di vergine ardore. E vi dico, in verità, e dico altresì a chiunque figga occhio in questo discorso breve: La storia della Sardegna per una parte si è scolpita nei secoli che hanno da venire con l’opera indefessa ed eroica dei suoi figli, in gloria di amore e di dolore purissimi, col loro sangue vermiglio corso a fiotti e senza rimpianti vani innanzi all’ara del sagrificio, con l’olocausto, santo e benedetto di giovinezze che sono interminabile legione… - Per un’altra parte, per la rivelazione della natura intima, latente, preziosa della razza che ascende, la sua gloria ha da essere scritta sotto i lampi del vero sacro da mano forte e sicura: sarà un bel monumento in onore della terra paziente, del popolo atleta. Anche sarà, forse, un vanto per l’Italia. A cui sia salute!

gente, limiti, modi di dire

pp. 323-324
A dì 11 di marzo Marco Ersini, posto a capo del vasto movimento di rinnovamento Sardo per il divenire sociale, morale, economico dell’isola, indirizzava ai più forti e degni rappresentanti politici delle diverse regioni d’Italia una lettera aperta che nel suo tratto saliente diceva:
"La gioventù Sarda – quella che di sé stessa ha dato alla Patria la parte migliore – chiede con franca fierezza ai più possenti uomini d’azione da cui trae auspicio la grandezza d’Italia, di essere conosciuta ed apprezzata.
La loro stima sarà un aiuto. Questa giovine gente di Sardegna, dalla guerra uscita risoluta come non mai, si solleva oggi contro le iniquità di un passato che l’ha tradita, e prepara l’avvenire".
Per una falange di ex combattenti
Marco Ersini.        
E ricevevano questo messaggio uomini come Antonio Salandra, Vittorio Emanuele Orlando, Orazio Raimondo, Ferdinando Martini, Benito Mussolini, Eugenio Chiesa, Luigi Federzoni, Filippo Meda, Vincenzo Camerini, Michelangelo Buonvino, Ettore Ciccotti, Innocenzo Cappa, Enrico Ferri, Napoleone Colaianni, Edoardo Pantano, Giovanni di Cesarò, ed altri animatori, costruttori magnanimi, capi di popolo silenziosi, severi, modesti nell’opera difficile e in loro nobile grandigia.
Con quel messaggio fu aperto un ciclo di battaglie civili tendenti a sollevare, da un lato, l’intrepido cuore della Sardegna magnificata, mercanteggiata e predata, dall’altro l’attenzione, la benevolenza e l’ausilio di quanti a difesa di una causa di onore e di giustizia potevano allora, e possono oggi, spendere, bensì, più che parole.
L’esito? Le speranze? La fortuna?
Parlerà il tempo.
L’oscura sentenza di Sibilla non si conosce tuttavia.
Auguriamoci che la si apprenda felice.
A noi piace dire e, a compimento della storia, concludere che la Sardegna ha fede. E se è vero che la costanza doma la sorte avversa, l’isola dimenticata rifiorirà dalla radice. Allora eromperà più forte e fatidico dal cuore di tale razza latina il grido latino che non le è nuovo: Te deam victoriam!

gente, italia ed europa, storia

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