Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 154
Essa venne, cauta e silenziosa, profumata d'ireos, con un abito chiaro biancheggiante nella notte diafana. Si abbracciarono a lungo, silenziosi, vibrando assieme, ebbri di gioia: il mondo era loro.
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La corriera attraversava le tancas selvaggie, gialle di stoppie e di sole ardente, qua e là ombreggiate da macchie di olivastri e di querciuoli.
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Ecco la cantoniera: nel paesaggio, a linee forti, ondulato, verde di macchie selvaggie, s'intravede qua e là qualche filo d'acqua violacea; s'odono fischi d'uccelli palustri; un pastore, bronzeo su uno sfondo luminoso, guarda l'orizzonte.
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Seduta sul gradino della porta, una donna in costume tonarese, tutta fasciata nelle ruvide vesti come una mummia egiziana, scardassava un mucchio di lana nera con due pettini di ferro: poco distante tre bimbi laceri e sporchi giocavano, o meglio si accapigliavano fra loro.
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Rivedeva il carrozziere dai baffi gialli e dalle guancie gonfie; ed a misura che la corriera si avvicinava a Mamojada, la suggestione dei ricordi diventava quasi dolorosa.