Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 139
- Ben tornato, - mormorò la serva che favoriva la corrispondenza dei due innamorati. - Ella verrà subito.
- Come stai? - egli chiese con voce commossa. - Ecco, prendi un ricordo che ti ho portato da Roma.
p. 139
Grandi nuvole nere passavano incessantemente sul cielo grigiastro; di tanto in tanto un lembo ovale di firmamento chiaro, circondato di cupe vaporosità, appariva come un viso misterioso, con due stelle rossastre per occhi, e pareva spiasse gl'innamorati.
p. 140
- Tocca a te raccontare. Io ti scrissi tutto, tutto; parla tu, Nino; sai parlare così bene tu! Raccontami di Roma; parla tu, io non so parlare... - ella mormorò, turbata.
p. 140
- Ti giuro che non mentisco. Perché dovrei mentire? Tu sei la più bella, tu sei la più gentile, la più dolce tra le fanciulle. Se tu sapessi come pensavo a te quando le mie padroncine, a Roma, nei primi tempi, si buttavano addosso a me ed a Battista Daga!
p. 142
Impeti di gioia gli illuminavano l'anima, a intervalli, violentemente, come la luce dei lampi illuminava la notte. Ricordò quel giorno di pioggia, a Roma, quando il pensiero della morte gli aveva solcato l'anima come il guizzo d'una folgore.