Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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La cucina era sempre la stessa, povera e scura, ma pulita, col focolare nel centro, i muri adorni di spiedi e di taglieri, di grandi canestri, di vagli e di setacci e d'altri arnesi per pulir la farina; in un angolo c'erano due sacchi di lana colmi d'orzo; accanto alla porticina spalancata stava appesa la tasca di cuoio per le sementi e le provviste da campagna del contadino.
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Ah, nulla era mutato; eppure egli provava l'impressione di trovarsi per la prima volta in quell'ambiente, con quel contadinone dagli occhi ancora fosforescenti e i lunghi capelli oleosi, e con quella graziosa vecchia, grassa e bianca come una colomba.
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Un gattino rossastro andò tranquillamente a mettersi accanto al piccolo tavolo, e cominciò a sbadigliare, sollevando i grandi occhi gialli verso Anania.
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- Finalmente siamo soli, - disse Anania grande, che mangiava l'insalata prendendola e stringendola fra due pezzi di focaccia.
- Ora non ti lasceranno più in pace, vedrai! Atonzu di qua, Atonzu di là. Sì, oramai tu sei un uomo importante, perché sei stato a Roma. Anche io quando tornai dal servizio militare...
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Egli si turbò; per un momento dubitò che si sapesse a Nuoro qualche cosa di Maria Obinu. Depose la forchetta attraverso il piatto e dichiarò che non avrebbe continuato a mangiare se non parlavano...
- Come sei impetuoso! Sempre tu, - osservò la vecchia. - Diceva re Salomone che l'uomo impetuoso è simile al vento... - Oh, c'è ancora re Salomone! - disse Anania con voce acerba. La vecchia tacque, addolorata: il marito la guardò, poi guardò Anania e volle castigarlo: - Re Salomone diceva sempre la verità.