Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 131
- Ebbene, datemi una tazza di caffè, allora! Come è buono il vostro caffè! Solo mia madre, a Nuoro, riesce a farlo altrettanto buono. Volete venire con me, a Nuoro?
p. 131
- Tutto, tutto, zia Varvara, ho tutto!
- Ma allora perché studi?
- Perché la mia innamorata vuole ch'io diventi dottore.
p. 132
Zia Varvara raccontava. Confondeva le leggende del castello di Burgos con le leggende del castello di Galtellì, mischiava ricordi storici, diventati oramai tradizioni popolari, con avvenimenti accaduti durante la sua lontana infanzia. - E i nuraghes, poi! Quanti tesori nascosti! Sai, quando i mori venivano in Sardegna per rapire le donne e gli armenti, i Sardi nascondevano le monete nei nuraghes.
p. 132
- Una volta - ricominciava zia Varvara, - io andai a cogliere spighe intorno ad un nuraghe; mi ricordo come fosse oggi. Avevo la febbre, e verso sera dovetti coricarmi fra le stoppie, aspettando che passasse qualche carro che mi conducesse in paese. Ed ecco cosa vedo. Il cielo, dietro il nuraghe, era tutto color di fuoco: pareva un drappo di scarlatto; ad un tratto un gigante sorse sul patiu e cominciò a cacciar fumo dalla bocca. In breve tutto il cielo si oscurò. Che paura, Nostra Signora mia del Buon Consiglio! Ma ad un tratto vidi San Giorgio con in testa la luna piena, ed in mano una leppa lucente come l'acqua. Tiffeti, taffati! - concluse la vecchia, roteando un coltello da cucina, - San Giorgio tagliò la testa al gigante, e il cielo ritornò sereno.
p. 132
- Ah, come mi divertirò, queste vacanze! - diceva alla vecchia. - Voglio recarmi a tutte le feste, voglio visitare il mio paesello natìo: voglio salire sul Gennargentu, su Monte Rasu, sui monti di Orgosolo.