Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 127
Povera vecchia zia Varvara! Essa è nera e piccina come una jana: conserva gelosamente nel baule il suo costume natìo, ma veste un ridicolo abito comprato a Campo dei Fiori.
p. 127
Per lei Roma è un luogo dove tutte le cose son care, e dove si può morire da un momento all'altro investiti da una vettura.
p. 127
Qui fa già molto caldo, ma verso sera, di solito, l'aria si rinfresca: io passeggio lungo le rive del Tevere, e sto ore ed ore a guardare l'acqua corrente, rivolgendo a me stesso delle domande perfettamente inutili.
p. 130
- Signora Maria, - disse Anania, aprendo l'uscio, - venga; devo dirle una cosa.
Ella entrò e si buttò a sedere accanto a lui: ansava per le scale salite di corsa, era insolitamente rossa, con la fronte lucente di sudore.
p. 131
- Ah, vivono ancora i baroni di Baronia? Io ho sentito narrare che nel loro castello s'aggirano i fantasmi. Una volta un taglialegna passò la notte sotto le mura del castello e vide una dama con una lunga coda d'oro che pareva una cometa. Oh, Nostra Signora mia del Buon Consiglio, tu mi rovini... bada che ti farà male tutto questo caffè!