Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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Ella era pallida e scarna, col collo lungo, il naso affilato quasi trasparente; ma i folti capelli neri, pettinati ancora alla sarda, cioè a trecce strette appuntate fortemente sulla nuca, le davano un'aria graziosa.
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Egli chiese ed ottenne di veder la camera; il letto stava al centro, fra due cataste di libri vecchi e d'oggetti antichi; entro una vasca di gomma, ancora piena d'acqua insaponata, olezzava un fascio di gaggie; dalla finestra si scorgeva un giardinetto melanconico. Sul tavolino Anania vide, fra gli altri, un volumetto che egli amava con passione dolorosa. Erano i versi di Giovanni Cena: Madre.
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- Anch'io sono nato per caso nel villaggio di Fonni, - egli disse, guardandola in viso. - Sì, sono nato a Fonni; mi chiamo Anania Atonzu Derios.
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Rientrarono nel salottino, ed egli si fermò a guardare la testa imbalsamata del cervo.
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- È di Nuoro, lei?
- Sì, ma sono nata là per caso.