Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 110
Addio dunque, terra natìa, isola triste, antica madre amata ma non abbastanza perché una voce potente d'oltre mare non strappi i tuoi figli migliori dal tuo grembo, incitandoli a disertare, come aquilotti, il nido materno, la roccia solitaria.
p. 110
Il treno lo trasporta verso il mare; cade una limpida sera d'autunno, grave di melanconia; i dentellati monti della Gallura sfumano nelle lontananze violacee, l'aria odora di brughiere; un ultimo paesetto appare, grigio e nero su uno sfondo di cielo rossastro.
p. 110
La sera cadeva; già qualche stella appariva «sovra i monti di Gallura» e qualche fuoco rosseggiava tra il verde-nero delle brughiere.
p. 111
Ricordava l'avventura con Bustianeddu, il progetto della fuga infantile; poi i continui sogni, il desiderio mai spento di un viaggio verso la terre d'oltre mare: eppure sul punto di lasciar l'isola egli si sentiva triste, e si pentiva di non aver proseguito gli studi a Cagliari.
p. 111
Ella era elegante, molto alta e formosa; i suoi capelli splendenti e gli occhi turchini solcati dall'ombra delle lunghe ciglia nere attiravano l'attenzione dei passanti che si voltavano a guardarla.