Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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Si chiamava Maria Rosa; era quasi sempre ubriaca e a giorni vestiva miseramente e girava per le strade scarmigliata, scalza o in ciabatte rosse, a giorni usciva elegantemente vestita, in cappello, in mantellina di velluto viola guarnita di piume bianche, qualche volta si metteva sul balcone, fingendo di cucire, e cantava, con voce rauca, graziosi stornelli del suo paese, interrompendosi per gridare insolenze ai passanti che la molestavano coi loro scherzi, o alle vicine con le quali litigava continuamente perché ne seduceva i mariti ed i figli.
p. 105
Una specialmente quella del Capo di Sopra alta e snella, coi capelli nerissimi e gli occhi d'un turchino vivo, attirava la sua attenzione.
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Un giorno, verso il tramonto, salì sulle colline di monte Urpino, al di là dei campi ove i mandorli fiorivano dal gennaio, e s'inoltrò nella pineta.
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Sul musco dei viali abbandonati il sole calante tra i pini rosei gettava riflessi delicati; a sinistra s'intravedevano prati verdi, mandorli in fiore, siepi rosse al tramonto; a destra boschetti di pini, e chine ombrose coperte di iris.
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Egli non sapeva dove fermarsi, tanto i posti erano deliziosi; colse un fascio d'iris, e infine salì sopra una cima verde di asfodeli, dalla quale si godeva la triplice visione della città rossa al tramonto, degli stagni azzurrognoli e del mare che pareva un immenso crogiuolo d'oro bollente.