Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 103
Verso mezzanotte ebbe una crisi di lagrime; soffocò i singhiozzi mordendo il guanciale, torse le braccia, si graffiò il petto; si strappò dal collo l'amuleto datogli da Olì il giorno della loro fuga da Fonni, e lo scaraventò contro il muro: oh, così avrebbe voluto strappare e buttare lontano da sé il ricordo di sua madre!
pp. 103-104
Di tanto in tanto avveniva una specie di vuoto nella sua mente; stanco di tormentarsi, allora egli vagava col pensiero dietro visioni estranee al crudele problema che lo urgeva: la voce del mare gli pareva il muggito di mille tori cozzanti invano contro la scogliera; e per contrapposto pensava ad una foresta scossa dal vento e inargentata dalla luna, e ricordava i boschi dell'Orthobene dove tante volte, mentre egli coglieva viole, il rumore del vento sugli elci gli aveva dato appunto l'illusione del mare.
p. 103
i>Quella donna ci dividerà per sempre. Perché ho sognato? Domani scriverò a Margherita, le dirò tutto. Ma che posso dirle? E se quella donna fosse morta? Perché devo rinunziare alla felicità? Non lo sa, forse, Margherita, che io sono figlio del peccato? Se si fosse vergognata di me non mi avrebbe scritto. Sì, ma certamente ella crede che mia madre sia morta, o che per me sia come morta; mentre io sento che è viva, e non rinunzio al mio dovere, che è quello di cercarla, trovarla, trarla dal vizio...
p. 103
Se non qui, là, in un punto ignoto ma reale, a Cagliari, a Roma od altrove, ella viveva e conduceva, o aveva condotto, una vita simile a quella delle donne che gli abitanti di Via San Lucifero volevano scacciare dal loro quartiere.
p. 103
L'idea che una delle due donne che abitavano le casette rosee potesse essere sua madre era svanita, dopo le informazioni date, durante il pranzo, dalla padrona di casa; ma che importava?