Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 90
- Tu vai ad Iglesias?
- No, a Cagliari.
- Ad Iglesias ci sono i vampiri e le faine. Addio, dunque: toccami la mano. Così, bravo; non aver paura, non ti mangio. E tua madre dove si trova ora?
p. 90
- Dove l'avete incontrato?
- Nel viottolo... laggiù, - indicò il pazzo; - aveva un cappotto lungo e le scarpe rotte. Ebbene, perché tu non mi dai un paio di scarpe vecchie, Anania Atonzu?
- Vi starebbero strette, - disse lo studente, guardandosi i piedi.
- E perché non vai scalzo, che una palla ti trapassi la milza? - chiese minaccioso il pazzo, corrugando le irte sopracciglia grigie.
p. 90
- Addio, - disse Anania, senza rispondere alla minacciosa domanda, - io parto per gli studi.
Gli occhioni azzurri del vecchio presero una espressione maliziosa.
p. 91
Vedendo lo studente arrossì, e tutta tremante gli offrì, su un primitivo vassoio di sughero, un grappolo d'uva nera.
p. 91
- No, è guarita. Cosa guardi lassù? È una falce da mietitore.
- Perché sta appesa sulla porta?
- Per il vampiro, che quando penetra di notte nella camera si ferma a contare i denti della falce, e siccome non arriva che al sette ricomincia sempre. Così arriva l'alba, e appena vede la luce il vampiro fugge. Tu ridi? Eppure è vero. Che Dio ti benedica, - disse poi la mendicante, accompagnandolo fin sulla strada.