Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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Tacque. Entrarono nella bettola. Un nugolo di mosche ronzava attorno ad una fanciulla bruna e bella, ma spettinata e sucida, seduta al banco.
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La scena risaliva al tempo delle Crociate, e si svolgeva in un castello molto turrito e vetusto all'esterno, per quanto all'interno fosse arredato con un solo tavolino rotondo e mezza dozzina di sedie di Vienna.
La fida Ermenegilda, uno studentino dal viso tinto con carta rossa, indossava un largo vestito da camera della signora Carboni; seduta presso il balcone, con le gambe accavalcate indecentemente, ricamava una sciarpa per il non meno fido Goffredo, guerriero lontano.
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In fondo alla sala adorna di ghirlande d'edera e di vitalba, il sipario di percalle qua e là rattoppato ondulava e lasciava scorgere coppie di studenti che ballavano allegramente.
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E non se ne pentì, perché la sera della rappresentazione egli poté assistervi seduto in seconda fila, subito dietro la sedia del padrino (in quel tempo sindaco di Nuoro) al cui fianco Margherita, in abito rosso e cappello bianco, risplendeva come una fiamma.
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- Tu sei bello, sei il primo, tu diventerai giudice istruttore e tutte le fanciulle ti vorranno raccogliere come un confetto...