Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 68
- Tu lo difendi! Corvo con corvo non si cavan gli occhi! - sogghignò il vecchio, alludendo al vizio della donna: ma la contesa fu tosto troncata dal ritorno di Anania.
p. 68
- Dove hai lasciato il cavallo? Nella locanda? Non ricordavi che noi siamo parenti? Eh che, dunque? Perché siamo poveri non vuoi ospitare da noi?
- Siccome io son ricco!..., - osservò sorridendo il giovinetto.
- Ebbene, andiamo e conduciamo il cavallo a casa nostra, - disse Anania cacciandosi il libro in tasca.
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Mobili strani riempivano la camera lunga e stretta, dal soffitto di canne coperte di calce, e il pavimento di terra: due arche di legno, rassomiglianti agli antichi cofani veneziani, sulle quali un primitivo artista aveva scolpito grifi ed aquile, cinghiali e fiori fantastici; un cassettone piramidale, canestri appesi alle pareti accanto a quadretti con la cornice di sughero; in un angolo un'olla per olio, nell'altro il lettino di Anania, coperto da una stoffa di lana grigia filata da zia Tatàna; e fra il lettino e la finestruola, che guardava sul sambuco del cortile, un tavolino con un tappeto di percalle verde, ed una scansìa di legno bianco nei cui angoli la fantasia artistica di Maestro Pane aveva traforato, forse ad imitazione delle arche, foglie e fiori antidiluviani.
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Tutto era pulito ed ordinato: dalla finestra penetravano onde d'aria profumata, sul pavimento bruno qua e là screpolato volteggiavano, quasi inseguendosi e scherzando, due foglie di sambuco; sul tavolino stava aperto un volume dei Miserabili.
p. 69
In quella cameretta dalla cui finestruola sul sambuco, sui tetti erbosi delle casette di pietra, il mondo s'apriva per lui vergine e fiorito come i monti granitici del vicino orizzonte?