Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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Ed un frate veniva dal convento, ed insegnava a leggere e scrivere al piccolo abbandonato, che voleva studiare per mettersi in viaggio alla ricerca di sua madre.
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Verso le undici, però, egli era già stufo della scuola e della maestra, nonché del vestito nuovo che lo impacciava assai: sbadigliava e pensava al cortiletto, al sambuco, al cestino dei fichi d'India ove ogni tanto egli usava cacciar le manine agguerrite contro le spine.
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- Il tuo maestro, Ananì, pare un gallo, col berretto rosso e la voce rauca. Io l'ho dovuto sopportare per un anno, che il diavolo gli roda il calcagno.
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Le scuole erano all'altra estremità di Nuoro, in un convento circondato da orti melanconici; la classe di Anania, al pianterreno, guardava sulla strada solitaria; molta polvere copriva le pareti, la cattedra del maestro sembrava rosicchiata dai topi; macchie d'inchiostro, incisioni e graffiti, nomi che parevano geroglifici, decoravano i banchi.
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Quaranta bambini animavano la classe. Anania era il più grande di tutti, e forse per ciò la piccola maestra, che aveva anche due terribili occhi neri, si rivolgeva a lui di preferenza, chiamandolo col solo cognome e parlandogli un po' in dialetto sardo, un po' in lingua italiana.