Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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Qualche volta però, Anania il mugnaio chiudeva il frantoio, andava nei campi a zappare il frumento del padrone e conduceva con sé il piccolo Anania, del quale voleva fare un contadino; ed il bimbo lo seguiva tutto lieto di rendersi utile, recando con alterezza sulle spalle la zappa e la bisaccia delle provviste.
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Mentre il padre zappava, curvo sulla distesa verde-chiara del frumento tenero, Anania si perdeva attraverso i campi nudi e melanconici, cantando con gli uccelli, cercando funghi ed erbe.
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- In che mondo siamo noi! Anche gli uccelli, anche i pulcini dentro l'uovo commettono il male!
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In mezzo ai campi quell'anno coltivati dal mugnaio, sorgevano due pini alti, sonori come due torrenti. Era un paesaggio dolce e melanconico, qua e là sparso di vigne solitarie, senza alberi, né macchie. La voce umana vi si perdeva senza eco, quasi attratta e ingoiata dall'unico mormorìo dei pini, le cui immense chiome pareva sovrastassero le montagne grigie e paonazze dell'orizzonte.
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Dov'era Olì? E chi lo sapeva? Ella s'era perduta, s'era smarrita come l'uccellino nei campi: ebbene, peggio per lei; Anania il mugnaio credeva di compiere abbastanza il proprio dovere allevando il figliuolo; se trovava il tesoro che sempre sognava, manderebbe il bimbo agli studi, se no ne farebbe un buon contadino: che pretendere di più?