Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 396
Efix, nonostante la luce, il canto degli uccelli, avrebbe creduto di assistere ad una messa di fantasmi.
p. 396
Le donne cantano, gli uccelli cantano; donna Ester sgambetta accanto al servo, col dito fuori dell'incrociatura dello scialle...
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La Basilica cadeva in rovina; tutto vi era grigio, umido e polveroso: dai buchi del tetto di legno piovevan raggi obliqui di polviscolo argenteo che finivano sulla testa delle donne inginocchiate per terra, e le figure giallognole che balzavano dagli sfondi neri screpolati dei dipinti che ancora decoravano le pareti somigliavano a queste donne vestite di nero e viola, tutte pallide come l'avorio e anche le più belle, le più fini, col petto scarno e lo stomaco gonfio dalle febbri di malaria.
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Anche la preghiera aveva una risonanza lenta e monotona che pareva vibrasse lontano, al di là del tempo: la messa era per un trigesimo e un panno nero a frange d'oro copriva la balaustrata dell'altare;il prete bianco e nero si volgeva lentamente con le mani sollevate, con due raggi di luce che gli danzavano attorno e parevano emanati dalla sua testa di profeta.
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Eccoli, son tutti lì; c'è don Zame inginocchiato sul banco di famiglia e più in là donna Lia pallida nel suo scialle nero come la figura su nel quadro antico che tutte le donne guardano ogni tanto e che pare affacciata davvero a un balcone nero cadente.