Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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Sì, il vecchio ortolano aspettava la mattina per tempo che qualche ragazzetta passasse nello stradale; la chiamava promettendole fave e insalata, e quando l'aveva attirata entro l'orto cercava...
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Egli aveva preparato i maccheroni: così egli chiamava certi gnocchi grossi e duri come mandorle, conditi con salsa di pomidoro secchi.
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- Scompaiono tutti i gatti del vicinato! Chi li ruba cosa ne fa?
- Ebbene, li fa arrostire. La carne è buona, sai; sembra carne di lepre. In continente la vendono per lepre: così dice mio padre.
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I due amici mangiarono in compagnia d'un gattino grigio che con lo zampino bruciacchiato prendeva famigliarmente i gnocchi dal piatto comune e se li portava furbescamente in un angolo della cucina.
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Il negoziante di pelli era dovuto partire improvvisamente per affari, e il ragazzetto trovavasi solo a casa, solo e libero dopo due giorni di prigionia per una delle solite assenze dalla scuola: inoltre serbava sulla guancia destra il segno d'un poderoso schiaffo somministratogli dal genitore.
- Vogliono che io studi! - disse ad Anania, aprendo le mani, col solito fare da uomo serio. - E se io non ne ho voglia? Io desidero fare il pasticciere: perché non me lo lasciano fare?
- Sì, perché? - chiese Anania.
- Perché è vergooogna! - esclamò l'altro, allungando la parola con accento ironico. - È vergogna lavorare, apprendere un mestiere, quando si può studiare! Così dicono i miei parenti: ma ora voglio far loro una burletta. Aspetta, aspetta!