Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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La sera, poi, si riunivano intorno al fuoco della caldaia le persone più freddolose del vicinato: per lo più la compagnia veniva composta, oltre che dal mugnaio e dai clienti, che aiutavano a spingere la sbarra del torchio, da cinque o sei individui sempre alticci.
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- Dovresti vergognarti, per Dio! - gridava il contadino. - Perché lasci entrare qui tutti i vagabondi di Nuoro?
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llora zio Pera l'ortolano, che stava seduto accanto al fuoco col suo randello fra le ginocchia, recitò una canzonetta:
Onzi pessone
Nde juchet de munnia.
E tue chi lu ses nende
Nde juches unu andende
Issu collette!
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Efes lo guardò coi suoi occhi vitrei, rotondi e sporgenti, e mentre sulle sue guancie gialle e cascanti passava come un brivido di disgusto, la sua mano palpava il lurido collo della giacca abbottonata.
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Anania e Bustianeddu ridevano sgangheratamente, accoccolati sulle sanse, simili a due pulcini.