Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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Zia Tatàna, però, lo proteggeva e lo amava, ed egli a poco a poco le si affezionò: ella lo lavava, lo pettinava, lo vestiva, gli insegnava le preghiere e i precetti del re Salomone, lo conduceva in chiesa, lo faceva dormire con lei, gli dava cose buone da mangiare.
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Simile ad una bestiola selvatica, in apparenza addomesticata, egli meditava continuamente la fuga: come a Fonni, mentre viveva con la madre, desiderava di fuggire per andare alla ricerca del padre, ora che il suo sogno s'era avverato, non pensava che ad un viaggio per ritrovare Olì.
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Non si seppe mai precisamente dove ella fosse andata: ma qualcuno disse di averla veduta sul piroscafo che faceva il servizio fra la Sardegna e Civitavecchia: e qualche tempo dopo un negoziante fonnese, ch'era stato in continente per affari, assicurò di aver incontrato Olì a Roma, vestita da signora, in compagnia di allegre donnine, e di aver passato qualche ora con lei.
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Strani sogni di fughe, di avventure, di avvenimenti straordinari si confondevano, nella piccola anima, con l'istintiva nostalgia per il luogo natìo, per le persone e le cose perdute; col desiderio della libertà selvaggia fino allora goduta, ed infine col sentimento arcano di pietà e di vergogna, col pensiero costante, col segreto anelito per la madre lontana.
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Andava o diceva d'andare a scuola, ma spesso il maestro scriveva un bigliettino al padre per chiedere notizie dell'invisibile scolaro: allora il genitore, che era un piccolo negoziante di lana e di pelli, legava il bimbo con una corda di pelo e lo chiudeva in una stanza, imponendogli di studiare.