Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 26
Verso mezzogiorno si fermarono presso un orto dove una donna, con le sottane cucite fra le gambe a guisa di calzoni, zappava vigorosamente: un gatto bianco le andava dietro, slanciandosi di tanto in tanto contro una lucertola verde che appariva e scompariva fra le pietre del muro.
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- Torneremo stanotte? - egli chiedeva. - Perché non me lo avete lasciato dire a Zuanne? È lontano il bosco? È a Mamojada?
- Sì, a Mamojada.
- Ah, a Mamojada? Quando c'è la festa a Mamojada? È vero che Zuanne è stato a Nuoro? Questa è la strada di Nuoro, io lo so, e ci vogliono dieci ore, a piedi, per arrivare a Nuoro. Voi siete stata a Nuoro? Quando è la festa a Nuoro?
- È passata, era l'altro giorno, - disse Olì, scuotendosi. - Ti piacerebbe stare a Nuoro?
- Altro che! E poi... e poi... - Tu sai che a Nuoro c'è tuo padre, - rispose Olì, indovinando il pensiero del fanciullo.
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La giornata s'era fatta tiepida, il cielo azzurro; le montagne, come asciugantisi al sole, apparivano grigie, chiazzate di boschi scuri; il sole, quasi scottante, riscaldava l'erba e faceva scintillare l'acqua dei ruscelli.
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- Perché diavolo vai a Nuoro? - insisteva l'omone, rivolto ad Olì.
- Ebbene, vuoi saperlo? - ella rispose finalmente. - Vado per mettermi a servire. Ho già fatto il contratto con una buona signora. A Fonni non potevo più vivere; la vedova di Zuanne Atonzu mi ha cacciato di casa.
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A Nuoro egli provò una forte delusione. Era questa la città? Sì, le case erano più grandi di quelle di Fonni, ma non tanto come egli s'era immaginato: le montagne poi, cupe sul cielo violaceo del freddo tramonto, erano addirittura piccole, quasi per far ridere.