Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 21
Tranne la domenica e i giorni della gran festa dei Martiri, in primavera, una solitudine triste regnava nel grande cortile soleggiato, sotto le tettoie in rovina, piene d'odor di cera, sotto l'enorme noce che ad Anania sembrava più alto del Gennargentu, e nell'interno della Basilica, le cui pitture e gli stucchi pareva si consumassero per l'abbandono e l'oblio in cui erano lasciati; eppure egli ricordò sempre con dolcezza nostalgica quel luogo deserto, dove in primavera l'avena cresceva fra le pietre, ed in autunno le foglie rugginose del noce cadevano come ali d'uccelli morti, Zuanne, che si struggeva per il desiderio di giocare nel cortile, e s'annoiava quando Anania non lo seguiva, era geloso dei figli del ceraiuolo e faceva di tutto perché l'amico non li frequentasse.
p. 21
Anania andava in cerca delle lepri e naturalmente non le trovava.
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- Tu vai con quelli, - diceva con disprezzo. - Peggio per te: ora le lepri fattele di cera! Vedi, se venivi ieri con me!
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Da lungo tempo il padre di Anania non era più tornato a Fonni, anzi il bambino non si ricordava di averlo mai veduto.
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- Volevo prenderle con te, ecco; ora vediamo se troviamo il nido della cornacchia.