Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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Un orizzonte favoloso circonda il villaggio: le alte montagne del Gennargentu, dalle vette luminose quasi profilate d'argento, dominano le grandi valli della Barbagia, che salgono, immense conchiglie grigie e verdi, fino alle creste ove Fonni, con le sue case di scheggia e i suoi viottoli di pietra, sfida i venti e i fulmini.
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Mentre le capre pascolavano nei dintorni montuosi del paese, fra i cespugli aromatici e le roccie verdi di caprifoglio, i due bambini girovagavano, scendevano verso la strada per lanciare sassolini a chi passava, penetravano nelle piantagioni di patate, dove lavoravano le donne solerti, cercavano all'ombra umida dei noci giganteschi qualche frutto sbattuto dal vento.
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Durante la giornata conduceva al pascolo attraverso i selvaggi dintorni del paese un certo numero di capre appartenenti a diverse famiglie fonnesi; all'alba egli passava fischiando lungo le vie, e le capre, che ne conoscevano il fischio, uscivano dalle case e lo seguivano mansuete.
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Avevano certo uno sfondo adatto, ed Anania non riusciva mai a scovare il bandito, sebbene Zuanne, dalla macchia dove si celava, imitasse la voce del cuculo. Un cuculo vero rispondeva in lontananza, e spesso i due bambini, smessi i feroci propositi, s'avviavano in cerca del melanconico uccello; ricerca non meno infruttuosa di quella del bandito.
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Zuanne era modesto; chiedeva soltanto:
Cuccu bellu agreste,
Narami itte ora est;
e l'uccello rispondeva con sette gridi, mentre invece potevano esser le dieci.