Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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laquo;Mentre i dragoni mi ricercheranno, io prenderò parte ad una impresa; al ritorno passerò la notte in casa; mogliettina mia, aspettami». Io aspettai, aspettai, tre, quattro notti: filai un rotolo di lana nera.
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Il figlio di Olì nacque a Fonni, al cominciare della primavera. Per consiglio della vedova del bandito, che lo tenne a battesimo, fu chiamato Anania: egli passò a Fonni la sua infanzia, e ricordò sempre con nostalgia quel bizzarro paese adagiato sulla cima d'un monte come un avoltoio in riposo.
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Le casupole di pietra bruna, coi tetti di scandule sovrapposte a guisa di squame di pesce, aprivano sui viottoli le porticine nere, i balconi di legno corroso, le scalette talvolta inghirlandate di vite; il pittoresco campanile della Basilica dei Martiri, emergente dal verde delle quercie del vecchio cortile del convento, dominava il quadretto del paese, disegnato sul cielo di cristallo azzurrino.
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Durante il lungo inverno tutto era neve e nebbia; ma in primavera l'erba invadeva anche i ripidi viottoli del paese, selciati di grosse pietre, dove gli scarafaggi si addormentavano beatamente al sole, e le formiche uscivano dalle loro buche, e vi rientravano e vi si aggiravano attorno indisturbate.
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Ma quando fu a letto, sola, in una specie di soffitta grigia e fredda, sul cui tetto il vento urlava ancora più tonante, smuovendo e sbattendo le assi, ella ripensò ai racconti della vedova, all'uomo mascherato che le aveva detto: «donna, non aspettare più!», al lungo gabbano nero, al bimbo che vedeva i morti, agli uccellini nudi del nido abbandonato, ai suoi poveri fratellini, ai tesori di Anania, alla notte di San Giovanni, a sua madre morta; ed ebbe paura e si sentì triste, così triste che, sebbene si ritenesse dannata all'inferno, desiderò di morire.