Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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Eravamo sposi da pochi mesi; eravamo benestanti, sorella cara: avevamo frumento, patate, castagne, uva secca, terre, case, cavallo e cane.
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L'ombra addensavasi, il vento urlava sempre più forte, con un continuo rombo di tuono: pareva di essere in una foresta sconvolta dall'uragano, e le parole e la figura cadaverica della vedova, in quell'ambiente nero, illuminato solo a sprazzi dalla fiamma lividognola del misero fuoco, davano ad Olì una infantile voluttà di terrore.
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Capitano della bardana era il bandito Corteddu, un uomo dagli occhi di fuoco e col petto coperto di pelo rosso; un gigante Golia, forte come il lampo.
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laquo;Fratelli in Dio», egli usava sempre dire così, «fratelli in Dio, io respingo la proposta. No. Se piove non vuol dire che il cielo non ci protegga: anzi un po' di disagio fa bene, abitua i giovani a vincere la mollezza. Se la guida ci tradisce la ammazzeremo. Avanti, puledri!»
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laquo;Fratelli in Dio, sono i cani che fiutano, non i cristiani! Il mio naso è d'argento e il vostro è di osso di morto. Ebbene, ecco che cosa io vi dico: se noi sciogliamo ora la compagnia sarà un brutto esempio di viltà; pensate che fra noi ci sono dei giovani alle prime armi; essi non chiedono che di spiegare la loro abilità come si spiega una bandiera nuova; se ora invece voi li mandate via, date loro esempio di vigliaccheria, ed essi ritorneranno fra la cenere dei loro focolari, resteranno oziosi e non saranno più buoni a niente. Avanti, puledri!»