Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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Olì si volse e sulla parete color terra vide infatti un lungo gabbano d'orbace nero, fra le cui pieghe i ragni avevano tessuto i loro veli polverosi.
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Egli dovette darsi alla campagna pochi mesi dopo le nostre nozze: io andavo a trovarlo sui monti del Gennargentu, egli cacciava mufloni, aquile, avoltoi, ed ogni volta ch'io andavo a trovarlo, egli faceva arrostire una coscia di muflone.
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- Anch'io, - disse la vedova, dopo un lungo silenzio, - anch'io ero di buona famiglia. Il padre di questo moscherino si chiamava Zuanne; perché, vedi, sorella cara, ai figli bisogna sempre mettere il nome del padre affinché gli somiglino.Ah, sì, era molto abile mio marito. Alto come un pioppo, vedi là, il suo gabbano è ancora appeso al muro.
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Anche il bimbo ascoltava, con le grandi orecchie intente: sembrava una lepre quando sente il grido della volpe lontana.
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laquo;Anticamente gli uomini andavano alla guerra: ora non si fanno più guerre, ma gli uomini hanno ancora bisogno di combattere, e commettono le grassazioni, le rapine, le bardanas non per fare del male, ma per spiegare in qualche modo la loro forza e la loro abilità!»