Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 8
Olì tremò, avanzò cauta, cadde fra le braccia del giovine. Sedettero sull'erba ancora tiepida, accanto ad un fascio di puleggi e d'alloro selvatico che esalava un forte profumo.
p. 8
- Quasi quasi non venivo, - disse il giovine. - La padrona deve sgravarsi stanotte, e mia moglie, che sta ad assisterla, voleva che io restassi in casa. «No», le dissi, «stanotte devo cogliere il puleggio e l'alloro; non sai che è San Giovanni?» E son venuto. Ecco.
p. 8
Olì vagava qua e là, con gli occhi velati di passione; nei lunghi crepuscoli luminosi e nei meriggi abbaglianti, quando le montagne lontane si confondevano col cielo, ella seguiva con uno sguardo triste i fratellini seminudi, neri come idoletti di bronzo, e mentre essi animavano il paesaggio con le loro grida di uccelli selvatici, ella pensava al giorno in cui avrebbe dovuto abbandonarli per partire con Anania.
p. 9
- Io però guarderò la vigna del padrone: poi queste foglie le metterò anche intorno all'aia, perché le formiche non rubino il grano.Verrai tu, quando io batterò il grano?
p. 10
Fosse caso od avvertenza, a metà strada incontrò Anania che la confortò, la coprì col suo gabbano e la condusse a Fonni, paese di montagna, al di là di Mamojada.