Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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Un giorno il cantoniere si recò a Nuoro per comprare del frumento, e ritornò più triste e disfatto del solito.
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Olì pianse e le sue lagrime caddero, assieme col frumento, entro l'arca di legno nero; ma appena l'arca fu chiusa e zio Micheli tornò al lavoro, la fanciulla andò in cerca del servo.
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Verso Pasqua la fanciulla ebbe occasione di recarsi a Nuoro, e domandate notizie della moglie di Anania seppe che costei era una donna anziana, ma niente affatto benestante.
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- Olì, bada a te, Olì! - disse alla figlia minacciandola con la mano. - Guai se quel servo rimette ancor piede qui! Egli ci ha ingannati persino sul suo nome. Disse di chiamarsi Quirico ed invece si chiama Anania. È oriundo di Orgosolo, razza di pastori, parente di banditi e di galeotti. Bada a te, donnicciuola: egli ha moglie!
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Ella recitava qualche strofa in dialetto logudorese, poi riprendeva: «Il fratello di mia madre, zio Merziòro Desogos, dipingeva nelle chiese e scolpiva i pulpiti: però si uccise perché aveva da scontare una condanna. Sì, i parenti di mia madre erano nobili ed istruiti: tuttavia ella non volle sposare il vecchio proprietario. Vide invece mio padre, che allora era bello come una bandiera, se ne innamorò e fuggi con lui. Ella soleva dire, mi ricordo: - Mio padre mi ha diseredata, ma non importa; gli altri si tengano le loro ricchezze, io mi tengo il mio Micheli e basta!».