Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 539
Di tanto in tanto un acuto dolore al fianco lo faceva balzare dritto, rigido come se qualcuno gli infilasse un palo di ferro nelle reni; si ripiegava di nuovo su se stesso, livido e tremante, proprio come una canna al vento [...]
p. 539
Terminata la buona stagione, raccolte le frutta, Zuannantoni, a cui il padrone aveva dato l'incarico di pascolare un branco di pecore nelle giuncaie intorno al paesetto, se n'era andato di buon grado.
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Ed ecco dunque Efix di nuovo seduto al solito posto davanti alla capanna, sotto il ciglione glauco di canne. Il cielo è rosso, in alto sopra la collina bianca; passa il vento e le canne tremano e bisbigliano.
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Verso sera il cielo si schiariva, tutto l'argento delle miniere del mondo s'ammucchiava a blocchi, a cataste sull'orizzonte; operai invisibili lo lavoravano, costruivano case, edifizii, intere città, e subito dopo le distruggevano e rovine e rovine biancheggiavano allora nel crepuscolo, coperte di erbe dorate, di cespugli rosei; passavano torme di cavalli grigi e neri, un punto giallo brillava dietro un castello smantellato e pareva il fuoco di un eremita o di un bandito rifugiatosi lassù: era la luna che spuntava.
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L'autunno s'inoltrava coi giorni dolci di ottobre, coi primi freddi di novembre; le montagne davanti e in fondo alla valle parevano vulcani; nuvole di fumo solcate da pallide fiamme e poi getti di lava azzurrognola e colonne di fuoco salivano laggiù dal mare.