Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 513
- È come che conduca un malato, un lebbroso. Dio terrà più in conto la mia opera di misericordia.
p. 513
Non sapeva perché, ma piangeva. Gli pareva di essere solo nel mondo, con l'usignuolo per compagno.
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Così andava andava ma non trovava pace; e il suo pensiero era sempre laggiù, fra le canne e gli ontani del poderetto. Specialmente alla sera, se un usignuolo cantava, la nostalgia lo struggeva.
p. 514
E andava, andava, in fila coi mendicanti, su, su, attraverso la valle verde di Mamojada, su, su, verso Fonni, per i sentieri sopra i quali, nella sera nuvolosa, i monti del Gennargentu incombevano con forme fantastiche di muraglie, di castelli, di tombe ciclopiche, di città argentee, di boschi azzurri coperti di nebbia; ma gli sembrava che il suo corpo fosse come un sacco vuoto, sbattuto dal vento, lacero, sporco, buono solo da buttarsi fra i cenci.
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A Fonni, dove i mendicanti si collocarono nel cortiletto intorno alla Basilica piena di gente di lontani paesi, egli cominciò a provare un nuovo tormento.