Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
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Rientrando videro Efix rialzarsi a fatica appoggiando la mano allo scalino. Allora Noemi, calda ancora di pietà e d'amore di Dio, s'accorse per la prima volta che il servo si era mal ridotto, vecchio, grigio, con le vesti divenutegli larghe, e tese la mano come per aiutarlo a sollevarsi.
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Le altre penitenti pregavano, di qua e di là nella chiesa, accovacciate sul pavimento verdastro: un silenzio profondo, una luce azzurrina, un odore di erba inondavano la Basilica umida e triste come una grotta; la Maddalena affacciata alla sua cornice pareva intenta alle voci della primavera che venivano con l'aria fragrante, e Noemi sentiva anche lei, fin là dentro, fin contro la grata che esalava un odor di ruggine e di alito umano, un tremito di vita, un desiderio di morte, un'angoscia di passione, uno struggimento di umiliazione, tutti gli affanni, i rimpianti, il rancore e l'ansito della peccatrice d'amore.
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La serva allora tornò in chiesa, e guardò se poteva dire alle dame che il servo era giunto, così avrebbero lasciato libero il prete; ma da una parte del confessionale stava donna Ester di cui si vedeva il lembo dello scialle venir fuori come un'ala nera, e dall'altra stava già donna Noemi, col dorso che ondulava lievemente, a tratti, sotto la stoffa nera opaca, e un piede lungo e nervoso fuori dalla sottana sollevata.
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Andò dunque dal nuovo padrone e lo trovò arrampicato su una scala a piuoli a potar la vite sotto la rete dei rami del melograno ricamata di foglioline d'oro.
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Era partito dal poderetto con la certezza che qualche cosa di straordinario doveva succedere; ma guardando in su ai piedi della scala gli pareva che don Predu fosse anche lui triste, quasi malato, ed esitasse a scendere, con la falciuola scintillante in una mano e nell'altra il tralcio di vite dalla cui estremità violacea stillavano come da un dito tagliato goccie di sangue.