Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 477
Tutta la casa spirava pace e benessere: sui muri chiari tremolava l'ombra dei palmizi e tra il fogliame dorato dei melagrani le frutta rosse spaccate mostravano i grani perlati come denti di bambino.
p. 477
- Le tue padrone stanno bene? Non si vedono più neppure in chiesa.
- Neppure in chiesa vanno, dopo la disgrazia.
- E don Giacinto non torna?
- Non torna. Ha un posto a Nuoro.
p. 477
Non gl'importava più nulla di Giacinto, né di Grixenda e neppure, quasi, delle padrone; tutto gli sembrava lontano, sempre più lontano, come se egli si fosse imbarcato e dal mare grigio e torbido vedesse dileguarsi la terra all'orizzonte.
p. 478
- Le mie padrone non hanno più confidenza in me e non mi dicono più tutti i loro affari. È giusto. A che dirmeli? Io sono il servo.
- Corfu 'e mazza a conca , pagarti però non ti pagano! Di quest'affare almeno dovrebbero intrattenerti. Quanto ti devono?
- Non parliamone, don Predu mio! Non mi mortifichi.
p. 478
Efix sollevò, riabbassò tosto gli occhi; un rossore fosco gli colorì il viso che pareva arso scarnificato con la sola pelle aderente al teschio.