Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 472
Ma poi anche lui si vergognava del suo sogno, e tornava al finestrino della stanzetta solitaria a guardare la cattedrale di Nuoro: lassù forse era la sua salvezza.
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Giacinto era ad Oliena: sapeva del disastro e della morte di zia Ruth e aveva paura a tornare laggiù.
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Allora Giacinto lo guardò a sua volta da sotto in su, maligno e sorpreso, poi sollevò di nuovo le braccia e parve alzarsi da terra scuotendosi tutto contro Efix come un'aquila sopra la sua preda.
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Efix gli lasciò la mano; cadde piegato su se stesso brancicando la terra e cominciò a tossire e a vomitare sangue: il suo viso era nero, decomposto.
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Un silenzio infinito regnava. Solo qualche grido di rondine pareva uscir dai muri in rovina, e un trotto di cavallo risuonò lontano, sempre più lontano.
«È Giacinto» pensò Efix, «ha preso un cavallo e torna laggiù e rivela tutto alle zie e le maltratta...»
Ascoltò. Gli sembrava che il passo del cavallo risuonasse sul muro, sopra di lui; e poi più basso, sul suo corpo, sopra il suo cuore.