Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Marianna Sirca
Grazia Deledda
p. 867
Di là vide zio Berte montare a cavallo e avviarsi verso Nuoro: tutto intorno nella tanca era quieto; l'armento pascolava, le vacche grigie immobili fra l'erba, sullo sfondo azzurro fra un sovero e l'altro, sembravano di roccia: i fischi delle gazze che imitavano quelli dei merli correvano come fili d'argento nel silenzio del bosco, e il fumo saliva dritto dalla casa colonica spandendosi in alto simile ad un grande fiore d'avena.
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Tutto sembrava un sogno. Solo i cani, a volte, s'agitavano, s'alzavano frementi sulle zampe posteriori, tirati indietro dalla corda che li legava, e abbaiavano a lungo contro il gattino silenzioso che veniva a mettere il muso entro la ciotola dell'acqua.
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Verso sera, non vedendo tornare i padre che era andato a Nuoro in cerca del sacerdote guardò a lungo dalla porta, poi si avanzò verso il bosco, giù lungo il piccolo sentiero chiaro fra l'erba già scura.
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Lei era lontana; aveva lasciato tutto, era spoglia, sospesa nello spazio come la luna. Ma i passi dei cavalli nel sentiero la richiamarono alla realtà. Ridiscese inciampando nei sassi e arrivò alla radura assieme col padre e col prete
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I monti svaporavano all'orizzonte, ancora rossi ma coperti da un velo di cenere: la luna spuntava bianca sopra l'Orthobene, e tutto per l'immensità era pace.