Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Marianna Sirca
Grazia Deledda
p. 864
Tutto era quieto sotto il chiarore della luna; il rumore del torrente risuonava fievole come se l'acqua si fosse addormentata e mormorasse in sogno, e nella tanca di Marianna l'usignuolo non smetteva di cantare.
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Gli uomini stavano nella cucina aspettando gli ordini di Marianna; di fuori il cavallo già sellato era pronto per la partenza e il servo aveva lo sprone al piede, mentre zio Berte si torceva un po' le mani incerto se doveva andare lui in cerca dei parenti di Simone o restare presso la figlia.
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Allora obbedì, e in breve il rumore dei passi rapidi del suo cavallo si spense in lontananza.
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All'alba arrivò la madre di Simone, seduta in groppa al cavallo del servo. Curva, con la testa avvolta in una benda nera, pallida nel viso già da lungo tempo pietrificato dal dolore, scivolò dal cavallo ancora prima che l'uomo smontasse, e andò dritta nella stanza ov'era suo figlio.
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Ecco lì Sebastiano davanti a lei, più ferito, più vicino alla morte che non fosse Simone; ella poteva legarlo con le sue deboli mani e consegnarlo alla giustizia degli uomini; poteva anche ucciderlo, lì, ai suoi piedi, come un cane arrabbiato; il peso del suo dolore non si sarebbe alleviato d'un grammo.