Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Marianna Sirca
Grazia Deledda
p. 735
Il tutto fu mischiato al sangue raccolto nel ventricolo della pecora, pulito come una borsa di velluto: e il ventricolo fu poi cucito con un ago di canna e messo a cuocere sotto un mucchio di cenere calda.
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Marianna intanto, china sul focolare, aiutava il servo a preparare la cena; aveva sollevato rigettandole al sommo della testa le cocche del fazzoletto nero, lasciando liberi il collo bianco e la gola rosea; al riflesso del fuoco i bottoni d'oro della sua camicia, uniti da un nastrino verde, rosseggiavano come due fragole non bene mature, ed ella ogni tanto se li guardava come paurosa che si slacciassero, ma in realtà perché si accorgeva dello sguardo di Simone fisso su di lei, e ne provava un turbamento oscuro.
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Aveva quasi soggezione a rivolgersi a lui, che pure era stato il suo servetto; le pareva ch'egli tornasse da un viaggio in altre terre, dove era cresciuto, dov'era diventato uomo e aveva appreso tutte le cose cattive e anche le cose buone della vita, come gli emigrati che tornano dalle Americhe.
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Intanto gli uomini discutevano sul prezzo del sughero, e il padre diceva, guardando per terra poiché non sapeva mentire, che i mercanti ozieresi avevano offerto mille scudi; ma Sebastiano rideva, con gli occhi neri brillanti nel viso giallognolo, e guardava Marianna ammiccando.
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La luna rossa sorgeva come un fuoco tranquillo fra i soveri laggiù in fondo alla radura, illuminando i prati con un chiarore sanguigno; la donna, col suo corsetto di scarlatto reso più vivo dalla luce della fiamma del focolare, splendeva in mezzo alle figure degli uomini come la luna fra i tronchi.