Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Marianna Sirca
Grazia Deledda
p. 733
Simone si guardò in giro, salutando le cose che ben riconosceva: le pareti nere di fumo, il tetto basso, le stuoie su cui aveva dormito i suoi sonni profondi d'adolescente, le panche rozze, i recipienti di sughero, le pelli e le pietre e tutti gli altri oggetti d'ovile che odoravano di cacio e di cuoio e davano alla rozza stanza l'aspetto di una tenda di pastori biblici.
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Tutti risero guardando fuori verso la figura gigantesca e nera del servo che si avanzava rigido tutto di un pezzo come fosse di legno.
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Marianna fece un gesto con la mano, per accennargli che cessasse, che tacesse, su quell'argomento ingrato: e lui arrossì, per l'orgoglio della fiducia di lei.
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Aveva quasi soggezione a rivolgersi a lui, che pure era stato il suo servetto; le pareva ch'egli tornasse da un viaggio in altre terre, dove era cresciuto, dov'era diventato uomo e aveva appreso tutte le cose cattive e anche le cose buone della vita, come gli emigrati che tornano dalle Americhe.
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Voleva Marianna e Marianna dovette uscire nello spiazzo per consultarsi con lui.
- Tuo padre mi ha fatto ammazzare una pecora: dimmi cosa devo cuocere, e se devo preparare anche il sanguinaccio. Ti avverto però che non ho il mentastro; ho solo due foglie d'alloro, eccole.