Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
p. 134
Dopo il pranzo entrò quasi furtivamente presso il bimbo, si chinò e lo guardò a lungo, e vedendolo dormire soavemente, con la boccuccia semiaperta, con l'uccellino dolce fra le manine, provò un impeto di tenerezza, e lo baciò religiosamente.
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Il Farre domandò la mano di Maddalena, e subito cominciò ad occuparsi del bambino come di cosa sua. Fece venire il medico, e il medico avendo dichiarato che il bimbo era anemico, il grosso uomo comprò le medicine, e quanto altro occorreva per la salute del piccolo Berte: prete Elias vedeva e taceva, ma dentro di sé si rodeva di gelosia; molte volte, quando era solo, ed anche stando in chiesa, si sorprendeva a pensare a quella grossa figura d'uomo sano e rosso, dalla pronunzia lenta, dalla parola ansante, e sentiva di odiarlo.
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- Ah, tu vuoi farti pastore, piccolo colombo? E perché vuoi farti pastore? Non sai che i pastori dormono spesso all'aperto e soffrono il freddo? Vedi zio Elias? S'è fatto prete; perché se fosse rimasto pastore sarebbe morto di freddo. No, ti faremo dottore, non pastore.
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Ma soffrì molto durante quella gita: il Farre portava il bambino con sé sul suo cavallo, sul davanti della sella, e Berteddu gli appoggiava la testina sul petto e gli rivolgeva cento domande se vedeva un corvo volare gracchiando, un passero levarsi da una macchia, un cespuglio carico di bacche scarlatte, una quercia verdeggiante di ghiande.
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- Vedi, quello è un pero selvatico; guarda, guarda, ha più frutti che foglie; ti piacciono eh, le pere selvatiche, piccolo porcellino, eh, eh?