Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
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In quei giorni sereni egli se ne stava lunghe ore sotto un albero coricato supino, guardando il cielo azzurro attraverso i rami, ascoltando la voce lontana del bosco, il roteare del torrente, il richiamo degli uccelli.
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- Eh! - disse Mattia ridendo. - Voi vorreste che nascesse subito subito e che fosse già qui a guidar le pecore!
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Per parecchi giorni visse nell'amaritudine di questo addio: specialmente nella tanca, la tristezza lo stringeva fino a renderlo freddo, insensibile ad ogni altra cosa, che non fosse il suo addio ai luoghi ed alle cose fra cui aveva tanto amato e sofferto.
«Io non vedrò più questo, io non farò più questa», pensava, e un nodo gli serrava la gola. Ma la sua decisione era ferma, e più i giorni passavano, più egli s'abituava all'idea di lasciare tutto e di cominciare una nuova vita.
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laquo;Che dirà quando saprà?», pensava continuamente. Gli pareva di non amarla più, tanto più che essa era diventata quasi deforme, gialla e gonfia in viso; ma si sentiva legato a lei da un nodo indissolubile e aveva paura di rompere questo legame.
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- Dunque, come si va, zio Portolu?
- Con due gambe come le galline, prete Porcheddu mio!
- E i figliuoli, i figliuoli, fanno da bravi? Son sempre colombi?