Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
p. 101
laquo;Un sogno. Oh che non ho sognato in riva all'Isalle, e nella tanca, quante volte? Ma no, no, no! Che dici a te stesso, Elias Portolu? Miserabile, sei pazzo, il più vile, il più abietto degli uomini.»
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Era un'alba triste, cinerea, ma non fredda: il cielo s'era coperto d'una sola nuvola caliginosa, immobile, che pesava come una volta di pietra grigia sui paesaggi morti. Elias cavalcava solo, smarrito in quel silenzio di morte.
p. 101
Oltrepassando il varco della tanca sollevò lentamente gli occhi e guardò come trasognato il paesaggio che gli si stendeva davanti, silenzioso e verde, di un triste verde invernale: le roccie, la linea del bosco, grave ed immobile sul cielo grigio, tutto gli parve mutato, tutto corrucciato contro di lui.
p. 101
Non s'udiva una voce, non si moveva una fronda: anche i rigagnoli, lungo l'orlo dei sentieri, passavano verdi, freddi, silenziosi.
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- Ti sei divertito, agnello? Eh, ti si vede dal viso: tu hai il viso in color del lievito; devi esserti mascherato, ed hai ballato, ed hai vegliato e ti sei divertito; te lo leggo negli occhi, figliuolino mio.