Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
p. 79
Che Elias doveva migliorare ella lo sapeva: credendo ch'egli avesse «preso qualche spavento» gli aveva preparato e fatto bere un'acqua speciale, poi gli aveva appeso al collo una medaglia santa, aveva acceso la lampada a San Francesco, e infine aveva pronunziato le parole verdi, scongiuro per sapere se il malato doveva vivere o morire. Le parole verdi avevan risposto ch'egli doveva vivere; San Francesco sia lodato e Dio sia benedetto in tutte le sue sante volontà.
p. 81
Grandi corvi lenti e melanconici solcavano il cielo pallido; l'erba di autunno rinasceva sulle stoppie annerite dalle abbondanti piogge cadute ultimamente.
p. 82
Cominciarono col parlare di cose indifferenti; di ciò che aveva fatto zio Martinu in tutto il tempo che non s'era lasciato vedere, delle pecore, degli agnelli, d'un toro che era stato rubato in una tanca vicina.
p. 84
Non sono più un ragazzo, è vero, ma non ho poi trent'anni come quel pastore che vendette la sua greggia e che si fece prete in meno di tre anni.
p. 84
- La vocazione ce l'ho e ce l'avevo. Mi è venuta da ragazzo e poi mi è ritornata quando ero in quel luogo. E non pensate, zio Martinu, che se mi faccio prete, ciò sia per poltroneria, per guadagnare, per viver bene, come tanti altri. È perché credo in Dio e voglio vincer le tentazioni del mondo.
- Non basta, Elias Portolu. L'uomo che si fa sacerdote non deve respingere solo il male, ma fare il bene. Deve vivere tutto per gli altri, deve, in una parola, farsi prete per gli altri e non per sé. Mentre tu ti fai prete per te solo, per salvar l'anima tua, non quella degli altri. Pensaci bene, Elias Portolu: ragione ho, sì o no?