Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
p. 74
- Sta a vedere che Elias s'ammala. Ah, no. San Francesco mio, pigliatevi me, ma lasciate vivi e forti i miei figliuoli! I miei figliuolini! i miei colombi! Gli uccellini miei! Ah, che essi siano felici, e che zio Portolu muoia pure disperato. Elias, Elias, perché non ti curi? Che farò io senza di te? Farò venire tua madre, ti farò tornare con essa in paese; ed essa ti metterà a letto e ti farà le medicine con le erbe, col sale, con le sante medaglie, come essa le sa fare.
p. 75
laquo;Io vado, io mi muovo. Non voglio morire: io l'amo, ed essa mi ama, me lo disse laggiù, in riva all'Isalle... no, mentre tornavamo... infine me lo disse, ed io l'ho baciata, ed essa è mia, è mia, è mia...Io vado... Ah, fratello mio, ammazzami se tu vuoi, ma essa è mia. Ora scendo, corro, vado a Nuoro, accomodo le cose. Si può tutto accomodare: zio Martinu ha ragione; ma bisogna che faccia presto»
p. 75
Intanto, sulla linea dei boschi, sui lontani orizzonti, il cielo svaniva in uno splendore di perla: le greggie pascolavano ancora, in lontananza, spandendo nella solitudine notturna il melanconico tintinnio delle loro campanelle.
p. 76
Si sentiva sempre il melanconico tintinnio delle greggie, la lontana voce del vento nel bosco.
p. 76
Gli pareva di attraversare un luogo pieno di roccie mostruose, di cespugli spinosi, di cardi secchi, illuminato da una luce azzurrognola di luna.