Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
p. 61
Egli aveva sperato di calmarsi e dimenticare nella solitudine della tanca, lontano da lei; ma i ricordi dei giorni trascorsi a San Francesco, quel sogno in riva all'Isalle, quel ritorno fatale, erano troppo recenti.
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laquo;Mio padre ha ragione», pensava, «io sono un ometto di cacio fresco, una bestia, uno sciocco. Che bisogno c'è di pensare alle donne, e specialmente alla donna che non si deve guardare? Non si può vivere altrimenti? Uomini bisogna essere, uomini, leoni; ed io sono un agnello, una pecora matta. Ma cosa posso far io? Non mi sono fatto io così; se mi fossi fatto io, mi sarei fatto col cuore di pietra. Ma, chi sa, col tempo mi passerà questa pazzia.»
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Non solo, ma aveva paura del giorno in cui Maddalena, Pietro e zia Annedda sarebbero venuti per la tosatura della greggia; eppure contava le ore che lo avvicinavano a quel giorno, e provava, misto alla paura, un piacere fremente nel sentirlo avvicinare.
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Era un vecchio gigantesco, ancora forte e dritto, coi lunghi capelli giallastri e una folta barba grigia; il suo viso tutto increspato di rughe dure sembrava fuso nel bronzo.
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Elias ammirò ancora una volta la sapienza di zio Martinu, ma scosse il capo. Ripensava al sogno in riva all'Isalle: aveva egli preveduto e desiderato forse il colloquio avuto poi con Maddalena? No, gli pareva di no.