Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
p. 59
I cani, uno grosso e nero, con occhi selvaggi, olimpicamente posato sotto l'albero al quale era incatenato, e l'altro piccolo, col pelo irto rossigno, simile a un porchetto, avevano riconosciuto Elias; ed egli aveva quasi pianto accarezzandoli.
p. 60
Mattia trottava verso Nuoro sulla cavalla seguita dal puledrino, colla bisaccia colma di cacio fresco e ricotta; zio Portolu, seduto sul limitare della capanna, intagliava e incideva pazientemente una zucca, disegnandovi appunto un episodio del Guerino, borbottando, parlando alla zucca, al temperino, alle dita, all'inchiostro che adoperava; e le greggie meriggiavano all'ombra delle macchie, e il porchetto, il capretto, il gatto e i cani dormivano.
p. 60
Li nascose in un luogo ben sicuro e riparato, sotto una roccia, in un boschetto di sambuchi, suo favorito luogo di riposo.
p. 60
Egli se n'andava nel boschetto dei sambuchi, nella frescura, nell'ombra olezzante di giunchi, vicino all'acqua mormorante, e leggeva la divina parola.
p. 60
Un uomo di cacio fresco sei diventato tu, Elias figlio mio. Eccolo che diventa pallido come una femminuccia per ogni piccola cosa. Uomini bisogna essere, uomini, leoni; non commuoversi, non cambiar viso, non piangere. Cosa è un uomo che piange? È un corno. Vedi tuo fratello Mattia? Non è un'aquila, e si meraviglia di molte cose: ma non cambia certo di colore; e a volte la meraviglia è anche un'astuzia; eh, non guardarlo così Mattia, egli è più furbo di te.