Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
p. 54
La coscienza, soprattutto la coscienza, Elias Portolu, ricordati della coscienza! Ah, cosa vedo lì? Una cosa nera, guarda, sarà una biscia?
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Fin dall'alba cominciarono i preparativi per la partenza: furono caricati i carri, sellati i cavalli, colmate le bisaccie.
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L'indomani mattina partenza. Il priore vecchio aveva consegnato lo stendardo, la nicchia e le chiavi al priore nuovo, sorteggiato il giorno prima; la prioressa aveva diviso il pane e le provviste avanzate e l'ultima caldaia di filindeu tra le famiglie della grande cumbissia. Fin dall'alba cominciarono i preparativi per la partenza: furono caricati i carri, sellati i cavalli, colmate le bisaccie. Si partì dopo la messa; e il nuovo priore richiuse il portone. Le stanzette, la chiesa, le macchie ritornarono deserte, adagiate sullo sfondo azzurro delle solitarie montagne.
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Verso mezzogiorno si arrivò all'Isalle; secondo l'uso si smontò laggiù, per desinare, sotto un gruppo d'alberi, fra rocce coperte di musco fiorito, in riva all'acqua corrente. L'accampamento fu presto fatto; sorsero i fuochi, giraron gli spiedi, furono imbandite le mense. Il meriggio era dolce; grandi, alte macchie di oleandri sorgevano lungo l'acqua corrente, immobili nell'aria calda; in fondo alla valle le messi splendevano al sole. La nicchia col piccolo San Francesco fu deposta per terra, sopra un grande fazzoletto disteso; e dopo il pasto uomini e donne vi si affollarono intorno, inginocchiandosi, baciandola e deponendovi dentro un'offerta.
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Addio. I cavalli trottano, galoppano, scendono e salgono per i verdi avvallamenti della montagna; la buona e fiera tribù dei parenti e dei devoti di San Francesco torna alla sua piccola città, lassù, dietro le fresche chine dell'Orthobene, torna al suo lavoro ai suoi ovili, alle sue messi, alla sua vita dura. La festa è finita.