Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
p. 36
L'installamento dei Portolu fu in breve fatto. Zia Annedda depose in un buco del muro il suo canestro di dolci, il suo pane, il suo caffè: sul focolare mise la caffettiera e la pentola; lungo la parete distese il sacco, la coperta, il guanciale di stoffa rossa, e collocò il cestino di canna con le chicchere e i piatti.
p. 36
- Ah, Santu Franziscu bellu, piccolo San Francesco mio, io non ho parole per ringraziarti. Pigliati la vita mia, se ti piace, tutto quello che vuoi, ma che i miei figli sieno felici, che vadano per le rette vie del Signore, che non sieno troppo attaccati alle cose del mondo, Santu Franzischeddu mio!
p. 37
Si sgozzavano pecore e agnelli, si cuocevano molti maccheroni, si beveva molto caffè, molto vino, molta acquavite.
p. 37
Il divertimento maggiore era però nella grande cumbissia, di notte, attorno agli alti e crepitanti fuochi di lentischio. Fuori la notte era fresca, talvolta quasi fredda: la luna calava sul vasto occidente, dando alla brughiera un incanto selvaggio. O pallide notti delle solitudini sarde! Il richiamo vibrato dell'assiuolo, la selvatica fragranza del timo, l'aspro odore del lentischio, il lontano mormorio dei boschi solitari, si fondono in un'armonia monotona e melanconica, che dà all'anima un senso di tristezza solenne, una nostalgia di cose antiche e pure.
p. 37
I cavalli furono portati al pascolo; s'accesero i focolari; e la magnifica prioressa e le donne della tribù cominciarono a cuocere certe spaventose caldaie di minestra condita col cacio fresco.