Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
p. 27
Confuse visioni cominciarono a ondeggiargli davanti alla fantasia: ricordava sempre l'ovile, la tanca coperta di fieno altissimo, e vedeva le pecore, ingrossate dal lungo vello, sparpagliate qua e là tra il verde della pastura; ma queste pecore avevano visi umani, i visi cioè dei suoi compagni di sventura. E provava un'angoscia indefinibile. Forse era il vino che fermentandogli nel sangue gli causava un po' di febbre.
p. 28
- Vado dietro queste pecore matte. Ma sono così stanco, padre della selva mia! Non ne posso più; sono debole e sfatto; non valgo più a nulla.
p. 28
Vedeva ancora la tanca, il fieno, le pecore grosse di lana gialla intricata, la linea verde del bosco vicino.
p. 28
Elias lo riconobbe subito: era un uomo d'Orune, un selvaggio sapiente, che vigilava l'immensa tanca d'un possidente nuorese, perché non estraessero di frodo il sughero dei soveri.
p. 28
Egli prese il lume, attraversò una stanzetta nella quale, sopra larghe tavole, stava una grande quantità di formaggio giallo e oleoso che esalava un odore sgradevole, ed entrò nella cameretta.