Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
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Anche le vicine aspettavano il ritorno del prigioniero, ritte sulle loro porticine o sedute sui rozzi sedili di pietra addossati al muro: il gatto di zia Annedda contemplava dalla finestra.
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Il gatto, che all'avvicinarsi dei paesani s'era ritirato dalla finestra, venuto alla scaletta esterna saltò giù spaventato, corse di qua e di là e andò a nascondersi. «Muscì, muscì», cominciò a gridare zio Portolu, «che diavolo hai, non hai veduto mai cristiani? Oh che siamo assassini, che fuggono anche i gatti? Siamo gente onesta, galantuomini siamo!»
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- Vedi, - gli gridava, tirandogli la falda del cappotto, e accennandogli i suoi figli, - li vedi ora i figli miei? Tre colombi! e forti, eh, e sani, e belli! Li vedi in fila, li vedi? Ora che è tornato Elias, saremo come quattro leoni; non ci toccherà neppure una mosca.
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E Pietro, poi, il piccolo Pietro, Prededdu mio? Non lo vedi? è un fiore! Ha seminato dieci quarti d'orzo e otto di frumento e due quarti di fave: eh, se vuol sposarsi, può tenerla bene la moglie! Non gli mancherà la raccolta.
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La donnina usci fuori, più bianca del solito e tremante; subito dopo un gruppo di paesani irruppe nel viottolo, ed Elias, assai commosso, corse da sua madre, si curvò e l'abbracciò.