Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 340
All'improvviso tutta la valle rimbombò come per una battaglia: i cavalli trasalirono e Zuampredu strinse la mano a Columba per paura che ella scivolasse dal suo sedile.
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Le macchie di alaterno e di ginepro fiorito, i gigli selvatici e le peonie che crescevano all'ombra delle roccie come in un giardino abbandonato, profumavano l'aria.
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Il nonno, il cui vecchio cavallo aveva anch'esso la velleità di sorpassare i compagni, si metteva la mano sull'orecchio per sentir meglio, ma mentre rispondeva ad alta voce, con gli occhi vivaci non cessava di guardare Columba.
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I giovani cantavano, guidati dal marito di Banna, e la sorella dello sposo, rigida e alta sulla sua cavalla bianca, sembrava una amazzone pronta ad attraversare pianure e montagne, calma nell'ora del tripudio, calma nell'ora del pericolo.
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La gente s'agita ancora lassù, nel sole: una figurina bianca e una figurina nera appaiono un momento davanti al muro, come due ombre una luminosa, l'altra scura; Columba crede di riconoscer Pretu e la straniera e nasconde il viso contro la spalla di Zuampredu mentre egli continua a stringerle la mano e ogni tanto si volge per domandare al nonno, indicandogli col lembo delle redini un muro o una distesa di macchie:
- E quel terreno lì di chi è? E a chi è affittato?