Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 311
Dopo il bel tempo di Pasqua la pioggia tanto invocata era giunta in abbondanza, seguita anche dalla neve; nuvole grigie e rosse salivano continuamente dal mare e anche quando il sole splendeva sopra la valle, Monte Bardia e Monte Albo, Monte Acuto e Monte Gonare, da un capo all'altro dell'orizzonte si guardavano attraverso un velo di nebbia come quattro vecchioni seduti in mezzo al fumo attorno a un focolare di pietra.
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Dionisi s'era appunto recato alla festa campestre e non aveva più fatto ritorno; le donnicciuole ogni tanto penetravano nella casupola di lui, nera puzzolente come una tana di cinghiale, e ne uscivano tenendosi su le gonne e scuotevano la testa.
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I parenti e gli amici del vecchio fecero una specie di questua per lui, ottenendo una capra o qualche altro capo di bestiame da quasi tutti i pastori del paese; così gli formarono un gregge ed egli riprese l'antica vita.
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- Dev'esser morto.
- Deve aver seguito qualche altro mendicante, recandosi con lui alle feste di Fonni...
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Si salutarono con un cenno del capo, ma sul viso di entrambi passò un sorriso di reciproco scherno; mentre gli occhi verdastri del nonno guardavano il bastone biforcuto, il mite vincastro al quale l'ex-bandito era tornato dopo tanti anni di fiera ribellione, gli occhietti porcini di zio Innassiu fissavano il coltellino e l'astuccio di canna del suo nemico: ed entrambi pareva si dicessero con lo sguardo: «Ecco a che cosa sei ridotto!».