Grazia Deledda
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 219
Gira e rigira a un tratto mi sentii chiamare da una voce sonora, alla quale seguì tosto un nitrito di cavallo e poi un raglio lamentoso e il canto d'un gallo che stonò bizzarramente nella pace armoniosa del luogo.
p. 219
Erano due studenti di Nuoro miei antichi compagni; andavano a fare una scampagnata in un ovile lì vicino e m'invitarono. Li seguii e passammo anche la notte lassù, cantando e ridendo. Quello che imitava la voce degli animali e il canto degli uccelli aveva un flauto e cominciò a suonare: a un tratto nel silenzio della sera tranquilla s'udì un lamento d'assiuolo, melanconico e cadenzato, or vicino or lontano come il grido di uno spirito errante nella notte. Lo studente suonava il flauto, l'assiuolo rispondeva col suo lamento; e il paesaggio notturno parve animarsi di folletti e di fate, di ninfe e di fauni, di cervi che si rincorrevano nel bosco e di lepri che danzavano alla luna.
p. 219
Provavo l'ebbrezza della solitudine e ascoltavo le voci delle cose: il cielo davanti a me sopra il mare mi sembrava un orizzonte boreale; sentivo le pecore a brucare il fieno e distinguevo il rumore degli steli spezzati; le roccie sotto la luna mi parevano torri; tutto era bello e fantastico.
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Ella era sempre taciturna: la vedevo ancora sulla veranda seduta a cucire accanto al vaso di basilico, ma adesso mi pareva che qualche cosa ci dividesse ogni giorno di più, e la vecchia casa mi sembrava una fortezza inespugnabile piena d'insidie.
p. 220
Una volta un magnano girovago rubò un archibugio che un pellegrino aveva deposto con la sua bisaccia accanto al muro della chiesa. Ebbene, leprotto mio, sai che cosa accadde? E accadde che l'archibugio esplose e il ladro rimase gravemente ferito!